Rainmakers: perché con imprenditoria e innovazione possiamo cambiare la nostra nazione in una sola generazione

Una lettura che invito tutti i ragazzi a fare quando muovono i loro primi passi come imprenditori è Il Nuovo Principe del buon Marco Trombetti. Dall’inizio alla fine. In una notte.

Una lettura che invece invito tutti gli imprenditori a fare quando pensano a cosa dedicarsi dopo il loro percorso imprenditoriale di successo è.. lo stesso libro. Ma dalla fine all’inizio. Con calma cercando di riflettere su cosa vogliono fare “dopo”.

Il libro si conclude infatti con un pensiero stupendo, da leggere quando ci si sente “arrivati”, e che probabilmente ha mosso Marco a creare Pi-Campus dopo 20 anni di attività imprenditoriale seriale e di successo. 

Il suo libro finisce infatti con queste pensiero evocativo: “è come se la vita fosse divisa in due fasi: il tempo in cui ricevi amore da chi viene prima e quello in cui lo dai a chi verrà dopo. Siate felici facendo un lavoro ben fatto per chi verrà dopo; ne sarete orgogliosi”.

E’ così che, chiusi i miei primi 10 anni di attività imprenditoriale con Nuvolab, fondata l’11/02/2011 (data palindroma ed anniversario di Thomas Edison, uno dei miei modelli di riferimento insieme ad Adriano Olivetti e pochi altri) è tempo di capire cosa voglio fare nei prossimi 10.

Con Nuvolab abbiamo dato una mano nel nostro piccolo a (ri)costruire un pezzo dell’attuale Rainforest italiana dopo anni di deserto post sboom delle dot com. Tanti progetti di open innovation per corporate, istituzioni e fondi VC. E anche qualche festa e ritrovo tra persone del settore per fare “rete”. Tante startup accelerate nello sviluppo del loro progetto. Alcune exit e anche qualche cicatrice. 

Nel 2018 ci siamo messi a fare anche da “startup studio” creando, finanziando e sviluppando la nostra prima startup innovativa a vocazione sociale: COP – Chi Odia Paga. Con un obiettivo tanto ambizioso quanto folle: quello di sconfiggere l’odio online e magari riuscire anche a rendere questo progetto finanziariamente sostenibile. 

In altre parole: dimostrare che il bene fatto bene può pagare bene

E, come direbbe Jep Gambardella ne La Grande Bellezza “la più consistente scoperta che ho fatto è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare“.

COP è ad oggi il progetto più complesso e quindi stimolante che mi sto trovando a sviluppare (e vi posso assicurare che ne ho fatti tanti e visti ancora di più praticamente in tutti i settori in questi 10 anni di attività e nelle precedenti esperienze tra i due anni passati a studiare e lavorare in Silicon Valley, la frequentazione di tanti TTO universitari e lo sviluppo di incubatori assortiti in giro per l’Italia e gli USA). 

Sicuramente non sarà quello che pagherà meglio tra quanto già fatto in passato e quanto farò in futuro.

Ma è certamente il più “meaningful”

Difendere le vittime di odio online dagli haters. E’ “il bene”. Punto.

Sto capendo quanto è difficile farne l’execution, promuoverlo correttamente e scalarlo velocemente, reclutando persone di valore e trovando la quadra sul business model mentre si prova ad evitare il tracollo finanziario non dimenticando di rinnovarsi continuamente (come fatto, in occasione dell’ultimo Internet Safer Day, con il lancio di Odiopedia). E’ davvero complicato far bene “il bene”. Ma in effetti non ci si poteva attendere altro: se fosse facile fare il bene, il mondo sarebbe decisamente un posto migliore di quello che è oggi.

Fare in modo addirittura che il bene fatto bene paghi bene, poi… questa è la sfida nella sfida.

Ma se si riuscisse a “tassare” l’odio online e con questo finanziare altro “bene”, sarebbe fantastico. Una tassa sul male online può finanziare la creazione del bene (online e) offline. Con una fonte di “energia rinnovabile” come l’odio online, che nessuno si è mai curato di “canalizzare” in qualcosa di più costruttivo, si potrebbero sviluppare grandi cose in Italia e nel mondo.

Al netto di questo, si dimostrerebbe che la “meaningful innovation” funziona: il bene, fatto bene, paga bene! E questo potrebbe essere applicato in tantissimi settori.

Così mi sono detto: questa sarà la nostra sfida per i prossimi 10 anni. 

Creare “meaningful innovation”. Il bene fatto bene che paga bene. Con cui far continuare a crescere nuove aziende meaningful. In Italia. Whatever it takes, come direbbe il nostro neo premier.

Perché l’Italia è da dove siamo tutti partiti all’inizio e prima o poi tutti torneremo

Magari non solo in vacanza.

E se l’Italia è poco business friendly (anche quest’anno nella classifica “Doing Business” siamo al 58° posto come facilità di far business nella nostra nazione, dietro al Kenya, al Marocco e al Rwanda) al punto da costringere spesso chi vuole avere un successo planetario a dover emigrare altrove, la nostra nazione può e deve tornare il luogo dove gli imprenditori di successo possono tornare. E (magari) anche dare una mano a chi sta provando a creare la sua prima startup, grazie a tutto quello che questi serial entrepreneur hanno imparato e le relazioni che hanno creato (oltre che con i soldi che hanno fatto) mentre costruivano la loro fortuna. Il know how e il know who, al netto dei fondi, sono le risorse meaningful di cui abbiamo bisogno in Italia.

a chi spetta fare in modo che questo accada?

Ai pessimisti, che vedono il problema in ogni opportunità? Agli ottimisti, che vedono l’opportunità in ogni problema? Ai politici, che vedono l’opportunità in ogni problema, si fanno eleggere per risolverlo, ma poi non lo risolvono (per farsi così rieleggere anche dopo per lo stesso motivo)? Oppure agli imprenditori, che vedono l’opportunità in ogni problema.. creano un prodotto per risolverlo e poi lo risolvono davvero (sviluppandoci intorno la propria azienda)?

Ovviamente la mia è una domanda retorica.

se gli imprenditori arrivati al successo, una volta arrivati a scegliere cosa fare “dopo”scegliessero di fare come Marco Trombetti e condividere le proprie esperienze, le proprie relazioni, le proprie risorse, con altri imprenditori meritevoli che sono all’inizio del loro viaggio imprenditoriale?

E’ un po’ questo lo spirito di giveback di tante “confraternite” di imprenditori nel mondo, siano esse più di rappresentanza e centrate sulle imprese (come Confindustria o Confcommercio), siano esse più di supporto operativo alla crescita e centrate sugli imprenditori (come Endeavor). Tutti mondi che mi piace frequentare e che ritengo socialmente importante supportare.

Alla fine, come diceva Martin Luther King,  “ogni uomo deve decidere se camminare alla luce di un altruismo creativo o nell’oscurità di un egoismo distruttivo. Questa è la scelta. La domanda più insistente e pressante che ci pone la vita è: che cosa stai facendo per gli altri?

Così ieri, 12/02/2021, altra data palindroma (giusto per rispettare le tradizioni), per rispondere a questa domanda abbiamo annunciato la nascita di Rainmakers. Non è solo il nuovo nome di Nuvolab (che ho personalmente “ribattezzato” in occasione del suo decimo compleanno) ma è l’evoluzione di un modello di supporto allo sviluppo di startup validate e scaleup italiane.

Questo è un periodo in cui tutti (a parte i politici italiani, fino a quando non è arrivato Mario Draghi) in Europa e nel mondo stanno pensando alla prossima generazione che crescerà sul nostro pianeta dandosi degli obiettivi chiari (sintetizzati nei 17 SDGs ma non solo), al punto tale che questo nobile scopo dà il nome al piano di rilancio dell’Europa post Covid, che giustamente si chiama Next Generation EU, orientato a costruire il destino delle prossima generazione (a parte in Italia dove lo hanno chiamato Recovery Plan, per risolvere i problemi contingenti di quelle attuali, ignorando totalmente i giovani che sono una razza in via di estinzione e con peso politico nullo nella nostra nazione).

E’ il momento giusto per capire che generazione vogliamo far crescere nella nostra nazione. 

Noi con Rainmakers vogliamo far crescere una generazione di nuovi imprenditori, votati alla meaningful innovation, grazie al supporto di altri imprenditori che credono in questi stessi valori. Perché ciascuno di noi è “ubuntu”: ognuno di noi è quello che è grazie a quello che sono tutti degli altri (nel bene o nel male). 

Servono imprenditori (che creano ricchezza), e non politici (che la redistribuiscono tramite le leggi), che grazie all’innovazione possano cambiare lo status quo che ci ha portato al declino politico, economico, culturale, sociale, valoriale e ambientale in cui viviamo oggi. 

Non possiamo restare indifferenti al declino dell’Italia perchè “chi è indifferente è complice“, come dice spesso la senatrice Liliana Segre.

Bisogna commissariare tutto il sistema Italia e darlo in mano ai giusti imprenditori (del settore privato e non pubblico) di nuova generazione. Perché gli imprenditori sono le uniche persone selezionate in modo darwiniano dal mercato. Selezione “naturale” meritocratica che non avviene in modo così spinto e feroce in nessun altro settore o professione. 

Perché, rielaborando il pensiero di Alcide De Gasperi: “un politico guarda alle prossime elezioni, un imprenditore (meaningful) guarda alla prossima generazione“.

E questi imprenditori devono essere di nuova generazione (sia anagrafica che di mentalità e sistema valoriale), allineato con lo spirito dei nuovi tempi che stanno arrivando insieme alle conseguenze del cambiamento climatico.

Questo perché è giusto che il futuro lo progetti chi in quel futuro ci vivrà. Nessun altro

questo spetta agli imprenditori “meaningful”, i Rainmakers. Sono i nuovi guerrieri della luce (come direbbe Coelho nel suo Alchimista e ovviamente nel suo Manuale del Guerriero della Luce). Io ci credo. E come direbbe Coelho: “il guerriero della luce crede. Poiché crede nei miracoli, i miracoli cominciano ad accadere”.

Francesco Inguscio, CEO & Rainmaker @ Rainmakers